Introduzione allo
studio dell'insegnamento del ragionamento e della prova:
I paradossi
da
Guy Brousseau
L'insegnamento del ragionamento, e particolarmente quello del ragionamento
logico e matematico, pone al didattico, come all'insegnante, qualche
problema paradossale ben conosciut.: Le difficoltà sorgono essenzialmente
da tre ordini di considerazioni, una di origine matematica, una di ordine
psicologico e sociologico e una di ordine didattico.
i. La presentazione "ortodossa"
dei testi di matematica spinge a pensare che la logica formale (il modus
ponens con forse qualche altro mezzo logico) è lo strumento fondamentale
e necessario della matematica, e che il suo obiettivo è quello
di mostrare la non contraddizione dell'autore (tramite se stesso e tramite
la matematica da lui conosciuta). Molti professori di matematica hanno
tendenza a dedurre che poiché i ragionamenti matematici sono
gli unici mezzi per stabilire pubblicamente la verità da un enunciato
matematico, questi ragionamenti devono necessariamente anche descrivere
(o servire da modello per descrivere) il pensiero che costruisce correttamente
la metamatica, e quindi che descrivono il pensiero dei matematici e
degli studenti. Ne risulta che vogliono insegnare a pensare, e poi a
ragionare direttamente come si dimostra. E confondono le attività
e i ragionamenti matematici degli studenti con il loro prodotto culturale:
il mezzo standard della propria comunicazione.
Se d'altra parte si ammette che il funzionamento naturale del pensiero
produce delle conoscenze esatte tramite dei processi (retorici, euristici,
psicologici...) che non si riducono a quelli che risultano dalla ricerca
matematica paziente delle presentazioni e delle notazioni più
comode (per i matematici e le loro ricerche), quali sono questi processi
e come realizzarli? O farli realizzare?
Questo paradosso è analogo a quello che i debuttanti incontrano
nella logica: vorrebbero costruire formalmente la logica formale, altrimenti
detto, possederne un'autogenesi, sulle quali si potrebbero costruire
successivamente tutte le scienze. Occorre subito disincantarli e insegnargli
a distinguere la logica del costruttore dalla logica che costruisce
per entrare dignitosamente nello studio della logica matematica.
ii. Gli umanisti devono postulare che la
" ragione è la cosa meglio divisa al mondo" per fondare
l'universalità della loro filosofia. L'idea che essi si fanno
dell'uomo spinge a pensare che ciascuno dispone di un sistema personale
tramite il quale in ultima uscita, egli inetrpreta e valuta quello che
gli si dice, e che ciascuno deve riconoscere tale capacità e
tale diritto anche negli altri. Ogni influenza (coercizione, seduzione,
errore, etc.) che scappa al controllo di colui che la subisce, abassa
tanto colui che la esercita quanto colui che ne rimane influenzato.
Il mezzo per controllare le influenze è naturalmente la "
ragione", la ragione comune ai due protagonisti e la ragione propria
a ciascuno di essi. Il mezzo legittimo per influenzare un soggetto è
dunque quello di convincerlo, e di convincere servendosi dei propri
criteri e delle proprie conoscenze. Rispettare l'altro non significa
accettare le sue credenze senza esaminarle, ma discuterne, se necessario,
secondo certe regole. Ma allora, essere dotato di ragione è una
condizione, è un inizio indispensabile non solo per ogni insegnamento
della matematica, ma anche per ogni influenza legittima, e quindi in
particolare per l'educazione?
In queste due prime questioni il problema è paragonabile: come
insegnare ad uno studente " come ragionare" se non ne è
già capace, dato che il ragionamento è proprio il mezzo
che gli è indispensabile per capire e imparare cio' che è
ragionare ? Come insegnargli a non accettare delle conclusioni se non
per proprio giudizio e senza lasciarsi influenzare da altre cause se
questo giudizio non è ancora acquisito?
iii. I paradossi dell'apprendimento "
costruttivista" (ostacoli) e quelli del contratto didattico (il
professore non puo' svelare cio' che vuole che lo studente faccia da
solo) sono stati messi in evidenza dalla T.S.D.M. Sono particolarmente
appropriati nel caso dell'apprendimento del ragionamento. (Esempi :
- Come fare in modo che lo studente si trovi " responsable "
della propria risposta ad un problema, se questo problema gli è
proposto da un professore, giustamente perché quest'ultimo pensa
che forse non saprà farlo? Quale imprenditore accetterebbe un
contratto che non saprebbe come soddisfare?
- Il professore puo' utilizzare dei mezzi di insegnamento - come manipolare
cause di apprendimento - che risulterebbero diverse dalle ragioni del
sapere che lo studente dovrebbe infine utilizzare. Altrimenti detto,
quali sono i limiti della manipolazione dello studente per un professore?
Ecc.)
Più concretamente, il problema didattico è diverso a seconda
che si consideri l'insegnante che "insegna un sapere" costituito,
o che fa " capire" questo sapere e fa "imparare delle
conoscenze e delle pratiche" .
Nel primo caso, è sufficiente esporre il sapere allo studente
in modo da economizzare al massimo il tempo didattico e da rispettare
l'autoreferenza: gli ordini sistematici, razionali, logici, o meglio
assiomatici che realizzano queste condizioni. L'insegnante lascia allo
studente la capacità di " comprendere ", di imparare
e di utilizzare il sapere che gli è cosi' devoluto.
Nel secondo caso, assegnando all'insegnante, gli obblighi di "
far comprendere ", " far imparare", " fare utilizzare",
il contratto didattico, sembra più appropriato al progetto umanista.
Ma, soprattutto se si interpretano queste tre esigenze come equivalenti
a " far produrre il sapere allo studente stesso" e se si delega
al professore la competenza di immaginare come puo' ottenere questo
risultato, la sfida si urta con i paradossi segnalati sopra.
Poiché l'insegnamento non puo' modificare la presentazione ortodossa
della matematica, non resta molto se non cercare di correggere e di
completare la prima soluzione tramite degli aggiuntivi :
- tramite delle ridondanze, delle ripetizioni, dei confronti e altre
analogie che si suppone facciano memorizzare i testi,
- tramite delle " spiegazioni", delle rappresentazioni, delle
illustrazioni, dei commenti e altre circonluzioni tramite i quali tenterà
di avvicinare le conoscenze degli studenti con quelle del sua presentazione
matematica assiomatizzata,
- tramite degli esercizi e dei problemi più o meno "aperti"
tramite i quali spererà che stimolino abbastanza bene un'attività
matematica paragonabile al suo modello: l'attività della matematica.
- o/e soprattutto tramite dei dispositivi pedagogici formali (non didattici)
destinati a limitare o a combattere una delle sue numerose cosi' dette
"cattive tendenze ".
a parlare: cio' che impedisce lo studente a farlo lui stesso,
a far parlare lo studente invece di farlo agire,
a insegnare invece di lasciare il bambino svilupparsi conformemente
al suo sviluppo spontaneo,
a costruire il sapere seguendo la cultura invece di lasciare il bambino
costruire" il suo sapere" in tutta creatività novità
e invenzione,
a concentrare su sé stesso l'attenzione dello studente invece
di rinviare all'influenza benefica di piccoli gruppi che lavorano
liberamente,
a proporre soggetti scolastici invece di lasciare germogliare il ricco
terreno delle attività tecniche e sociali del milieu "
naturale " dello studente,
a preferire dei soggetti scolastici noiosi a occupazioni ludiche attrattive
e di conseguenza istruttive,
a scegliere dei soggetti teorici e di conseguenza inutili a soggetti
pratici e quindi intellegibili e utili,
a stabilire un rapporto tra il lavoro fatto da ogni studente e il
progetto d'istruzione fatto su di lui, e quindi scoraggiare gli studenti
e stabilire tra loro delle differenze...
Alcune tra queste tendenze hanno una propensione a dissuadere il professore
a fare il proprio mestiere.
Esse ripercuotono tuttavia - anche se " in modo naif" dal
punto di vista didattico - delle "osservazioni" rispettabili
giunte da altre discipline e il dilemma resta dunque posto. Il loro
principale difetto è quello di volersi imporre o giustificarsi
senza tener conto della dimensione e delle circostanze didattiche. Nessuna
di queste prescrizioni è assolutamente valida e in ogni circostanza,
nessuna è applicabile ad ogni conoscenza da insegnare, senza
una conversione didattica che tiene conto della natura e della specificità
del sapere insegnato.
Tutti i bambini cercano di influenzare il proprio ambiente e, obbligati
a passare dalla decisione degli adulti, sviluppano molto presto delle
strategie retoriche per soddisfare i loro desideri. E' in questo periodo
che cominciano a formarsi
- tutta una gerarchia di mezzi di influenza, permessi o vietati, espliciti
o inesprimibili, in diversi tipi di interazioni,
- un repertorio di formulazioni di" regole" e di violazioni,
- e la coscienza del loro stato come esseri umani che possono esercitare
la propria volontà.
E' quindi molto presto che occorre insegnare ai bambini la pratica delle"
situazioni di validazione razionale". Sono situazioni dove due
interlocutori cooperano dialetticamente con l'obiettivo di stabilire
o rigettare la verità di un'asserzione. Cooperano ma senza concessioni,
l'uno che propone, l'altro che si oppone al primo non appena ne ha l'occasione,
fino all'accettazione sincera dell'evidenza.
Ma qual'è il genere di situazione che puo' esigere e permettere
lo sviluppo di diversi assiomi e teoremidella logica e condurre alla
loro presa di coscienza?
Guy Brousseau
Reazioni? Osservazioni?
Le reazioni al contributo di Guy Brousseau saranno
pubblicate nella Lettera della Prova di Autunno 2004
©
G. Brousseau
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